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“Running Point” e il potere della leadership "gentile" - Mamager
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“Running Point” e il potere della leadership “gentile”

Mamager Running Point

“Running Point” e il potere della leadership “gentile”

Breve panoramica: Running Point è una serie TV prodotta da Netflix. Scritta da Mindy Kaling ha come protagonista Kate Hudson.

Dove vederlo: attualmente si trova su Netflix (agg. luglio 2025)

Running Point segue la storia di Isla Gordon, chiamata a prendere le redini della squadra di basket di famiglia, i Los Angeles Waves, dopo il crollo del fratello maggiore Cam. Isla non è “la più adatta” secondo i canoni del contesto in cui si muove (di cui il defunto padre era un convinto portavoce): è donna, viene da un passato turbolento, e ha sempre vissuto all’ombra degli altri membri della famiglia. Ma è proprio questo che rende interessante il suo percorso.

Isla deve dimostrare di meritare quel ruolo in un ambiente ostile e dominato dai suoi tre fratelli: Ness e Sandy, e lo stesso Cam che agisce nell’ombra dalla riabilitazione. Tra sponsor che spariscono, scandali mediatici e giocatori problematici, Isla dovrà navigare tra affari delicati e relazioni familiari sfilacciate, cercando di rimettere insieme i pezzi di un puzzle che sembrava non avere più soluzione.

Non sono mai stata una fan delle serie sul basket. E in generale, quei racconti pieni di lussi e disfunzionalità familiari mi lasciano un po’ fredda: troppe volte sembrano tutte uguali, piene di eccessi e vuoti mascherati da drammi, come se non esistesse altro al mondo che la contrapposizione tra ricchi depressi e poveri doloranti ma la cui vita è piena di significato. È un tipo di dicotomia che mi sembra quantomeno superficiale: la vita che viviamo tutti i giorni ci narra altre storie.

Eppure Running Point, la nuova serie Netflix con Kate Hudson, ha saputo – per certi versi – sorprendermi.

Quello che mi ha colpita è il modo in cui Isla, la protagonista, accresce ed esercita quotidianamente (e con non poca fatica) la sua leadership: non si impone gridando più forte, né imitando modelli autoritari e oppositivi. Fa errori, certo. A volte sbaglia tono, altre volte sbaglia scelte le cui conseguenze non sono sempre banali. Ma ciò che davvero fa la differenza è la sua capacità di ascoltare, accogliere, chiedere scusa e tentare sempre di riallacciare i fili. Una forma di leadership che non è “femminile” nel senso stereotipato del termine, ma profondamente umana. E forse anche per questo, potente.

C’è poi un altro tema che mi ha lasciato qualcosa: quello della famiglia. La famiglia Gordon è tutto fuorché perfetta. Eppure, nel bel mezzo delle ferite, delle storture, dei silenzi… c’è anche il desiderio – a tratti goffo, a tratti commovente – di ritrovarsi, di imparare ad essere l’uno per l’altro. E il personaggio di Jackie, figlio illegittimo e “ultimo arrivato”, diventa paradossalmente quello che meglio incarna il senso profondo dello stare insieme: esserci, prendersi cura, volersi bene anche quando le cose si complicano.

Non tutto funziona in questa serie, ci sono cliché e forzature. Ma l’ho trovata comunque interessante per almeno un motivo: per una volta, vedere una donna cercare di guidare senza tradire sé stessa, con tutte le fatiche e le cadute del caso, è stato bello. E utile.

Un piccolo racconto di forza, imperfezione e relazioni. Che, alla fine, è quello che più somiglia alla vita vera.

Mamager
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